Streaming & Infedeltà: quanto vale il supporto fisico?

Fin dall’adolescenza, cioè da quando compresi che la musica avrebbe avuto un ascendente determinante nella mia vita, ho sempre avuto il desiderio (e l’utopica aspirazione) di possedere un’infinita ed assoluta libreria musicale. Con gli anni ho compreso l’impraticabilità di questo assurdo desiderio, tuttavia l’evoluzione del modo di ascoltare la musica mi è venuta –parzialmente- in contro. Ho vissuto in pieno la breve era di Napster, soprattutto le conseguenze che essa ha portato: il peer to peer. In quel frangente era davvero possibile ricreare una corposa –seppur incompleta- libreria musicale: l’unico ostacolo non era tanto il rischio d’infrangere la legge (argomento piuttosto opinabile) o la capienza degli hard-disk dell’epoca, semmai la mia -umilmente- limitata comprensione della musica, pratica che si sarebbe affinata –e si sta affinando- con nuove scoperte e nuovi ascolti negli anni a seguire. Nella scelta di vari emulatori o portali di scambio etico, creare un catalogo discografico di una certa portata è –ed è stato- possibile, nonostante tutta quella musica in download non venisse effettivamente ascoltata in maniera approfondita. Però era lì, era gratis, religiosamente archiviata per artista ed anno di pubblicazione; all’occorrenza era pronta per essere trasmigrata in un lettore mp3 o in un compact disc. Come consultare un’enciclopedia –o quasi-, l’approfondimento era a portata di click. Con questa mia pratica, la materialità della musica era messa comunque in discussione, soprattutto perché ero cresciuto con l’audiocassetta e poi con il cd, beneficiando –specialmente nell’ultimo caso e per le nuove uscite- di un booklet con testi, foto, qualche curiosità. Un bagaglio di informazioni che il minimale ed ultracompresso file mp3 non garantiva. L’altra faccia della medaglia era l’esoso costo delle ultime uscite discografiche, che nei primi 2.0 toccava anche i 35€-40€ per album: davvero troppo per chi come me voleva adempiere alla missione di formare una biblioteca musicale vastissima. Senza dimenticare il rischio di incorrere in un acquisto che disattendeva gusto e aspettativa. Ogni mese “volava” un centone (euro/lire) al negozio di dischi vicino alla stazione: i vent’anni soppesavano in maniera diversa le priorità, quindi anche nel caso di un non proprio azzeccato acquisto, andava comunque tutto bene. Ad ogni modo, l’mp3 e la masterizzazione erano un buon compromesso economico e quantitativo (o forse una scusa furbetta) per ascoltare tanta musica e poi decidere se effettuare l’acquisto ufficiale. Certo, parallelamente c’era anche la pratica della stampa in alta qualità delle copertine fronte e retro, ed altre diavolerie che tendevano all’illusione di possedere l’originale senza acquistarlo a tutti gli effetti, ma questa mania non mi coinvolse con particolare entusiasmo: preferivo ancora recarmi al negozio alla stazione. Il contatto materiale con la musica è sempre stato un fattore determinante. Poi arrivò la passione per il vinile, non so come sbocciò, ma nulla fu più lo stesso. Complice le fiere del disco usato ed il prezzo dei cd che reputavo esagerato (col senno di poi quello dei vinili non era poi tanto inferiore!), rivalutai l’idea iniziale della libreria musicale, concentrandomi su una collezione –seppur contenuta- di dischi in vinile, vecchi e nuovi. Così abbandonai e bistrattai il cd con cui musicalmente mi ero formato (ed oggi per questo ho dei rimorsi), immolandomi nella complessa e sofferta scelta e valutazione del vinile. Poi arrivò lo streaming: io rimasi fedele al vinile!

dal profilo IG (@vinyl_ragazzo) di Roberto Schiaccianoci

Usufruisco dei servizi in streaming più per necessità che per scelta. Il ventaglio di peer to peer si è impoverito -o meglio io non mi sono più tenuto molto aggiornato- attanagliato dalle cicliche chiusure dei siti con i database più completi e soprattutto dal progressivo diffondersi degli ascolti in digitale. Recentemente, ho preso la decisione di sottoscrivere un abbonamento premium ad una delle più famose piattaforme streaming –in rigorosa promozione ad 1 euro- per 3 mesi senza dover subire le sciocche e ridondanti pubblicità che interrompono l’ascolto ogni manciata di brani. L’esperienza non è stata poi tanto diversa dal servizio gratuito, ad ogni modo ho deciso di non rinnovare alla scadenza –no, non per nostalgia della pubblicità- e di ritornare alle barbarie del servizio gratuito. Nel sondaggio customer-satisfaction successivo alla disdetta, ho ribadito l’elevato costo mensile del servizio (poco meno di 10€), giustificando in un ideale conto economomico, che con gli eventuali 120€ annuali avrei avuto la possibilità di acquistare almeno 4 o 5 dischi in vinile di buona qualità (magari con annesso download code!), o di sottoscrivere quasi due abbonamenti a riviste musicali specializzate. Trasversalmente, è la materialità quella a cui ambisco. E se le mie considerazioni possono sembrare povere (in fin dei conti sono solo 10€ mensili!), fatico ad accettare il concetto di portabilità e musica liquida. La tangibilità del supporto (che sia cassetta, cd o vinile) è l’ultimo baluardo fisico e concreto che ci lega alla musica: toccarlo con mano, inserirlo nel lettore o nel giradischi, averne cura dal calore e dalla polvere, sono gesti che ricordano l’amore e la passione che poniamo verso la musica. È una pratica che non deve scomparire! Sarebbe gravissimo perdere la memoria di questi gesti, o ancora peggio smarrire la conoscenza di quei luoghi, i negozi di dischi, che sono stati punto di riferimento, ritrovo e scambio per molte generazioni.
Lo streaming (con i suoi indubbi vantaggi) non può competere con la ritualità di un qualsiasi formato fisico, nonostante la portabilità sia divenuta una necessità imprescindibile, quasi vitale. Il sottofondo di una qualsiasi playlist preconfezionata, ha in molti casi soppiantato l’ascolto radiofonico, specie in quei grandi spazi (centri commerciali, parrucchieri, bar, persino dal dentista!), ove il sovrappensiero è il flebile gemito contro ogni rumore o vociare esterno. Non apro nemmeno la voragine riguardo alla qualità dell’ascolto, poiché gli audiofili più esigenti avrebbero sicuramente argomentazioni validissime –e diversissime- per preferire un supporto fisico ad un altro. Tuttavia, c’è anche un altro tipo di qualità alla quale mi riferisco: quella che riguarda come e con quale grado di attenzione ascoltiamo la musica. Ci sono ovviamente margini per opinare, eppure dedicare coscientemente 40 minuti del proprio tempo esclusivamente alla musica –senza altre distrazioni- è un’esperienza gratificante e formativa per un appassionato. A questo punto però l’ago della bilancia si sposterebbe sull’ascoltatore, sulle proprie scelte, priorità, preferenze.

” Lo streaming è quasi sempre pessimo: si interrompe, cose così. Inoltre non puoi recensire un oggetto del genere [il box box The Early Years dei Pink Floyd] prescindendo dagli altri contenuti fisici: libretto, memorabilia, etc. Mi sono rifiutato “

Simon Reynolds, intervista per Minima et Moralia

Ecco appunto, l’appassionato. Forse la musica sta perdendo l’ascoltatore medio, quello che acquistava ancora i suoi dischi preferiti senza tuttavia subire l’ossessione del collezionista, ma pur sempre più attento, rispettoso e delicato dell’ascoltatore di sottofondo, quello fagocita-playlist, quello sicuramente più facilmente influenzabile. Insomma, una fetta non trascurabile di consumatori che oggi forse si abbandona allo streaming, per immediatezza, praticità, mancanza di tempo, dismettendo l’acquisto del supporto fisico se non in rarissime e speciali occasioni. Eppure la porzione più consistente e remunerativa di consumatori sono i teenagers, che vivendo di smartphone trovano nello streaming una realtà senza passato a misura d’oggi, il qui e subito: il cd è il nebbioso ricordo dei genitori, la musicassetta sembra leggenda metropolitana, il vinile è mesozoico. Cambia anche come si usufruisce della musica: l’ascolto è il tempo che intercorre nel tragitto casa-scuola e viceversa, ad esempio; o è la chiassosa colonna sonora durante il bivaccare del sabato pomeriggio, girando e rigirando playlist confezionate appositamente per l’utente. Come avere una libreria infinita di musica ed ascoltare pedissequamente solo quel centinaio di brani a tema e a rotazione casuale. Una mortificazione per chi fa musica, per gli artisti emergenti ed indipendenti, per le piccole label che promuovono la scena locale: forse i nipoti di myspace sono cresciuti in fretta, con idoli usa e getta! Sì, l’esagerazione è voluta, ma indica anche un certo grado di frustrazione, non tanto per il presente attuale, quanto per quello che potrebbe riservarci il futuro. Poiché, pagando quei famosi 10€ mensili (meno di una ricarica di cellulare, meno del famoso caffè al giorno), si accede ad un servizio fantastico – se c’è coscienza di come usarlo- per varietà di proposta, per soddisfazione immediata di un breve bisogno secondario, per intrattenimento last-minute; il cui unico vincolo è la temporalità: non è un servizio eterno e potrebbe pure cessare. Il ciclo di vita per i supporti fisici è stato variabile: il vinile ha goduto più di trent’anni di gloria, la musicassetta ed il cd poco meno, ma comunque sono formati ancora oggi riproducibili, poiché la loro materialità presupponeva il possesso di un apparecchio di massa che li riproducesse. L’ascoltatore possedeva effettivamente la musica che acquistava, poteva stringerla tra le mani, poteva conservarla ed usufruirne a propria discrezione in determinate condizioni: la musica era un fattore personale. Se e quando i servizi in streaming cesseranno, l’ascoltatore avrà investito del denaro solo per ascoltare ovunque la musica, senza “possederla”, senza che ne rimanga traccia. Il servizio non è quindi musica illimitata, bensì l’azzeramento del desiderio temporale di ascoltarla, la portabilità in qualunque situazione/condizione. Anche in questo caso, l’ascoltatore e le proprie esigenze può giocare un ruolo fondamentale nell’usufruire dello streaming.

dal profilo IG (@jrocklennon81) di Jrock Lennon

Nell’ultimo decennio la musica è stata investita da consequenziali innovazioni che ne hanno mutato le dinamiche di ascolto (e di registrazione/distribuzione), ma anche di vendita e generazione di introiti. Il numero di copie vendute –che presuppone quasi sempre un supporto fisico- non è più un dato oggettivo e un metro di valutazione/misurazione economica. Lo streaming ha rivoluzionato il modo di ascoltare la musica, tant’è che dal 2015 anche il numero di ascolti sulle piattaforme digitali viene convertito nell’equivalente delle copie fisiche (1 copia venduta = 1.300 ascolti in streaming a determinate condizioni). L’uso sconsiderato delle playlist ha depotenziato il concetto di album come involucro concettuale/tematico, liberando in un certo senso l’artista “dall’onere” di confezionare un’opera che rappresentasse un percorso artistico coerente, porgendo l’altra guancia dinanzi ad armonie tanto più orecchiabili da essere inserite in qualche playlist, bacino popolano di ascolti in serie, quindi di introiti. Ci sono tuttavia artisti che preferiscono sfidare l’ascoltatore, mettendoci tutti quanti alla prova con lavori curatissimi e strutturati, che richiedono dunque un’attenzione maggiore all’ascolto, quindi la necessità o l’esigenza di ritagliarsi del tempo che sia qualitativamente il migliore possibile. Forse potrebbe essere proprio l’ascoltatore a procrastinare il lento tramontare del rock, agitandone di colpo l’ampolla ed illuminare per un attimo di colorati coriandoli il suo arido e a volte poco propositivo panorama. L’ascoltatore responsabilizzato potrebbe essere l’inaspettata nuova figura conseguenza dello streaming, l’esigenza di ritrovare il piacere –ed il tempo- nella musica potrebbe essere l’antidoto contro i grigi carrillon musicali dei centri commerciali, contro la smaterializzazione dei formati. Recentemente Stefano Solventi (vi invito a leggere le sue considerazioni), ha posto un’interessante domanda: “siamo utenti o ascoltatori?”, evidenziando come alcuni artisti (Nick Cave, Thom Yorke, Jeff Tweedy, ad esempio) abbiano apertamente sfidato il loro pubblico con dischi che nulla hanno a che fare con l’intrattenimento, lavori non immediati, personali, che richiedono una certa attenzione e cultura all’ascolto.  

” …con lo streaming hai già acquistato l’utilizzo del disco ancora prima che esca. Non devi “assaggiare” per capire se vale la pena investirci soldi …”

Stefano Solventi, dal blog Pensierosecondario

Difficile prevedere cosa ci riserverà il futuro. La valenza dell’album ha già iniziato a scadere inesorabilmente in una raccolta random di brani, il mercato musicale da tempo si è già mosso in tal senso promuovendo l’integrazione/fusione tra musica e video (i cosidetti visual album), accessibili direttamente da smartphone. Non mi stupirei se gli artisti ritornassero alla pubblicazione di singole canzoni con cadenza periodica (come negli anni ’50 e ’60); come non mi stupirei se i servizi in streaming gratuiti cessassero di colpo, obbligando l’ascoltatore al pay to play. Quest’ultima ipotesi –paradossalmente- salverebbe i supporti fisici, ma potrebbe anche aumentarne a dismisura il costo (la Sony nel 2018 ha chiuso l’ultimo stabilimento statunitense per la produzione di compact disc) poiché la domanda sarebbe a misura di nicchia. La tecnologia ha giocato un ruolo rivoluzionario per la musica negli ultimi vent’anni: ne ha plasmato le abitudini, ne ha invertito le priorità ed i pesi. È successo anche con i film e i libri, con esiti completamente diversi. Se le piattaforme digitali hanno modificato irreversibilmente le abitudini serali di molti telespettatori; strumenti apparentemente pratici per la lettura come l’ebook, dopo un iniziale entusiasmo, sono scivolati nel quasi dimenticatoio, privilegiando ancora la cara e vecchia carta stampata e le librerie. Quest’ultima quindi è una lezione importante e da tenere a mente, poiché l’innovazione tecnologica non consegna automaticamente all’obsolescenza le vecchie abitudini. La ritualità dello sfogliare, consultare, riporre nello scaffale il “formato” cartaceo sono ancora gesti importanti, a cui il digitale non è riuscito sostituirsi. Forse è cinicamente questione di tempo, o forse alcuni riti rimarranno nel bagaglio culturale dell’uomo.
Lo streaming musicale è uno strumento potente per accedere in qualsiasi momento ad un catalogo pressoché infinito di proposte musicali, ma vorrei che nella cieca rincorsa alla portabilità, rimanesse indelebile traccia del supporto fisico, della sua struttura e di tutti i vincoli/difetti annessi. Poiché è l’ultimo legame d’amore e passione che riponiamo nella musica, nella memoria di quei gesti, nell’usura delle copertine e delle superfici del formato fisico, ci sono emozioni, nostalgie, ricordi, che parlano per noi e di noi; tutte cose che la volatilità del digitale non potrà mai sudare o assorbire.  

“Non sono i libri che vi mancano, ma alcune delle cose che un tempo erano nei libri. Le stesse cose potrebbero essere diffuse e proiettate da radio e televisori. Ma ciò non avviene. No, no, non sono affatto i libri le cose che andate cercando. Prendetele dove ancora potete trovarle, in vecchi dischi, in vecchi film e nei vecchi amici; cercatele nella natura e cercatele soprattutto in voi stesso “

Fahrenheit 451, Ray Bradbury

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